Lo Slow Food a Beirut abita in un piccolo ristorante dall’insegna rossa situato in una viuzza laterale della trafficata Rue Hamra, nel quartiere di Hamra, appunto. Hamra un tempo era IL quartiere di Beirut, quello più vivo e cosmopolita. Oggi ci sono altri posti, altri quartieri che sono alla moda. Ma Hamra è ancora uno dei posti preferiti dagli stranieri che vivono a Beirut. A quanto pare è anche il “quartiere dei veri Beirutesi”. o almeno così lo definisce Ziad, il mio “autista” libanese, mentre accompagna me e le mie valigie ad Hamra, a prendere possesso di un appartamento ammobiliato all’ottavo piano di un palazzo dal nome curioso: Residence Santona.
Dopo quella prima orgogliosa presentazione del posto dovrei avrei passato i successivi due mesi, lascio Ziad alle sue teorie sull’impossibile conciliazione del Libano e ai suoi lamentii sulla maleducazione delle nuove generazioni e parto da sola alla scoperta delle possibilità che offre la mia nuova temporanea residenza. Dove andrò a mangiare la sera? dove farò colazione? cosa c’è di bello da vedere qui? Subito mi è chiaro che tra le via di Hamra, come d’altro canto ovunque a Beirut, è possibile mangiare a ogni angolo di strada, a ogni ora del giorno e gustando quasi ogni possibile menù, con una prevalenza (che ve lo dico a fare?) di meze varie e di shawarma. Giro, annuso e intanto impreco contro il traffico e i clacson che tutti suonano per le ragioni più svariate: per chiamarti dai taxi, per incitare ad avanzare più spedita la macchina davanti, per protestare contro chi si ferma a parcheggiare, scaricare, chiacchierare. Una cacofonia costante dalla quale trovo rifugio di fronte all’insegna rossa del Bread Republic, il ristorante-panetteria, nonché casa di Slow Food Beirut, dove ho appuntamento per cena con un amico che a Beirut vive da tempo. L’amico mi spiega, mentre ci accomodiamo a uno dei piccoli tavolini fuori dal minuscolo ristorante, che lui al Bread Repubblic viene a comprare i muffins per colazione e a farci il brunch della domenica. Mi dice anche che il patron del Bread Republic è un tal Walid Ataya, presidente di Slow Food Beirut e che nel 2008 quando si sparavano per le strade, il Bread rimaneva aperto in mezzo al caos.
Mentre ascolto storie di antichi e nuovi rancori, vecchie e nuove guerre, Hezbollah, sunniti e cristiani, esploro il menù scritto con il gesso bianco sulla porta del ristorante e intercetto una cameriera gentilissima che in perfetto inglese mi propone una bruschetta con un formaggio fresco di cui non ricordo il nome e un bicchiere di vino bianco libanese. Mi alzerò di lì soddisfatta dopo una serie di bicchieri accompagnati da una serie di racconti. Bella serata.
Dopo quella prima volta al Bread Republic sono tornata spesso, vuoi a comprare i giganteschi e buonissimi muffins, vuoi a fare scorta di pane profumato, vuoi a bermi un bicchiere di vino dopo il lavoro. La clientela del Bread è linguisticamente eterogenea, ma tutta ugualmente rilassata. Molti all’ora dell’aperitivo o a colazione hanno il portatile acceso, chattano , lavoricchiano, rispondono alle mail. Altri hanno un libro sul tavolino o appunti da leggere. Si sta un po’ come in un salotto, senza le poltrone, insomma. Si gusta una cucina mediterranea con parecchi influssi italiani e ingredienti libanesi. Una buona cucina, anche se non sempre all’altezza. Ma tant’è… Sei a due passi dal caos e dai clacson, in un posto carino senza essere fighetto (ce ne sono di posti fighetti a Beirut, ce ne sono assai), con una bella atmosfera, bei sorrisi gentili e tanto buon pane.
Al martedì mattina, poi, i tavolini del Bread si compattano e nella via si svolge un mercatino del biologico targato Slow Food: frutta, verdura, miele, spezie, torte dolci e salate. I banchetti non sono molti, una decina in tutto, ma la scelta delle cose da provare non manca. E provandole, se ne resta immediatamente conquistati.
Taccuino
Bread Republic
Hamra Street (via laterale)
Beirut
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